25 MARZO – 1 MAGGIO 2015
LA PREPARAZIONE
Per affrontare un viaggio ‘da viaggiatore’, (non da turista), è sempre necessario capire come sarà il territorio che si affronterà, il clima, la situazione politica e sanitaria, per decidere come preparare se stessi e il proprio ‘mezzo’, (nel caso si decida di andare in bici, moto, macchina), quale abbigliamento portare e come equipaggiarsi. Quindi passo qualche settimana studiando tutto per bene e impostando il percorso da fare. Decido le date di partenza e di ritorno e compro il biglietto. Mi registro sul sito della Farnesina, appuntandomi di aggiornarlo il più frequentemente possibile in base agli spostamenti che farò, in modo che, in caso dovessi avere problemi, possano rintracciarmi più facilmente, e attivo l’assicurazione di viaggio.
Ho previsto di atterrare ad Adana, Sud/Est della Turchia, a 100 km dalla Siria. Dovrò rimontare la bici, impacchettata a dovere prima di partire, e muovermi verso Nord, affiancando il mio compagno di avventure, Mirko, già in giro in bici da un po’ di mesi e che mi sta aspettando in zona. Attraverseremo la Cappadocia, per poi arrampicarci sulle montagne innevate, (circa 2000m di altitudine) per raggiungere il Mar Nero. Da li, costeggiando il mare, entreremo in Georgia, per poi raggiungere Tibilisi, la capitale, quasi in Azerbaigian. Un totale di 1400km, dormendo in una tenda da bivacco la maggior parte delle notti, facendo wild camping, , anche con temperature sotto zero. Ho 35 giorni di tempo, anzi meno, perchè a Tibilisi dovremo arrivare almeno una settimana prima del mio volo, per sbrigare delle pratiche in alcuni consolati. Faremo delle tappe più o meno lunghe, in base al meteo e alla conformazione del territorio.
Uso una bici da trekking B’TWIN Riverside, comprata da Decathlon, poi preparata da La Stazione delle Biciclette. Ho montato i portapacchi per le borse anteriori e posteriori, Vaude, e ho aggiunto uno zaino a tenuta stagna, Patagonia, legato sopra le borse posteriori. Ho cambiato gli pneumatici, sostituendoli con quelli antiforatura Schwalbe Marathon Plus Tour SmartGuard, installato dei mini specchietti retrovisori, (che si sono rivelati utilissimi) e 3 porta borracce per l’acqua.
Una cosa per me fondamentale è utilizzare una sella adeguata. Durante gli allenamenti, dopo 30/40 km, avevo dolore e abrasioni. So che è assolutamente soggettivo, quindi invece di farmi consigliare ho fatto un po’ di comparazioni, provando 3 prodotti diversi. Alla fine ha vinto la Sella SMP TRK in Gel da donna, morbida dove serve, con gli spazi vuoti dove è necessario e con la punta inclinata per affrontare meglio salite e discese. Per me è eccezionale. Non ho più avuto problemi, in nessuna condizione.
Poi ho considerato che alcuni tratti saranno fangosi e ripidi. Troverò pioggia e neve e dovrò fare dei tratti a piedi con la bici in spalla. Quindi ho pensato di non utilizzare una classica scarpa con attacchi da bici, che normalmente sono molto rigide. Ho cercato una calzatura ibrida, che sia abbastanza morbida, calda, impermeabile, traspirante, comoda da usare con gli attacchi ma anche per camminare. Ho scelto gli scarponcini da trekking/bici VAUDE AM Tsali Mid STX . Perfetti! Piedi mai bagnati e mai sudati. Morbidi il giusto, con buoni attacchi ma anche un ottimo grip, una rarità nel loro genere.
LA PARTENZA
OK, tutto pronto. Si parte!
La mattina della partenza passo con un taxi-furgone a ritirare la mia fedele amica, “armata per la battaglia” e ben impacchettata per il viaggio dai ragazzi de La Stazione delle Biciclette. Caricarla è un’impresa, ci sta per un pelo!!
In previsione dello scalo che dovrò fare ad Istanbul, e della pioggia che in Turchia sta cadendo incessantemente, decido di farla avvolgere con metri e metri di plastica, (con disperazione degli addetti all’imballaggio a Malpensa), per rendere il pacco impermeabile. E comunque un’assicurazione in più male non fa!
Ero felice e rilassata, dopo la faticaccia fatta durante la mattina, così mi metto in coda al check-in, lasciando il mio prezioso pacco un po’ più in la, sul carrellino. Mi avevano detto che avrei dovuto farmi rilasciare la carta d’imbarco e poi passare alla biglietteria per pagare 20€ per la bici. Dopo di che avrei dovuto portarla alla consegna bagagli ingombranti dove l’avrebbero controllata ai raggi x.
Arrivato il mio turno la hostess mi chiede gentilmente di attendere davanti al desk l’arrivo del responsabile sicurezza, che mi avrebbe accompagnato al controllo. Mi allontano di qualche metro e dopo una decina di minuti di attesa mi siedo sul carrellino ad aspettare.
Dopo un’altra decina di minuti vedo una donna in divisa venirmi incontro, capelli cortissimi biondo platino, occhiali da vista con gli angoli in su, truccatissima, con la bocca dritta e gli angoli in giu e con uno sguardo freddo e accusatorio…. arrivata davanti a me mi fissa dall’alto in basso, (visto che ero ancora seduta sul carrellino), e appoggiando le mani sui fianchi mi dice, “e io come lo controllo adesso questo pacco?! cosa c’è dentro una televisione?? perchè l’ha avvolto nella plastica? io lo devo aprire!!”
Dopo un attimo di perplessità decido di seguire l’onda del destino… d’altronde il mio viaggio è appena iniziato… le sorrido e le dico, “ok, non si preoccupi, lo apriamo, fatemi avere solo un po’ di nastro adesivo per richiuderlo bene”. Lei, che si aspettava probabilmente qualche protesta, rimane un po’ spiazzata, esita un attimo e poi mi chiede di seguirla.
Arrivati all’ingresso dei bagagli ingombranti capisco perchè “no raggi x”. L’ingresso dello scanner è davvero ridicolo e la mia bici non ci passerebbe neanche senza imballo!
Insieme ad un altro addetto sicurezza apriamo il pacco dall’alto, con attenzione, e quando la responsabile vede la bici sgrana gli occhi. Capisco che è curiosità, così comincio a raccontarle che costa sto andando a fare e perchè. La signora rimane ad ascoltare a bocca aperta, mi chiede se non ho paura, ma le si illuminano gli occhi. ‘Quella è voglia di libertà’, penso io, così lascio il discorso a lei, che mi racconta di quanto sia difficile in certi casi essere donna. Dopo un po’, e dopo aver controllato la bici, mi aiuta in tutta fretta a richiudere il pacco, ormai sono in ritardo e non riuscirei ad imbarcarmi facendo i percorsi normali, ma lei, con gli occhi che ancora brillano, tutta impettita e finalmente con un bel sorriso, mi dice, “vieni con me, ti faccio passare io”!
Mi fa saltare tutte le code e, dopo l’ultimo controllo, una guardia, notando il modo in cui ci guardiamo, le chiede sorridendo, “è una tua amica?”, e lei, con mia immensa gioia, risponde “si, lo è!”
Ci salutiamo abbracciandoci forte… il mio viaggio è davvero iniziato!
LA CAPPADOCIA
Atterrata! Vado alla consegna bagagli, sperando che sia andato tutto bene.
Arrivano le borse, che avevo unito con delle cinghie e avvolto nella plastica verde, ma della bici nessuna traccia. Così vado al lost&found e la signora dietro al bancone mi fa capire, parlando in turco e a gesti, che mi verrà consegnata in un altro posto. Mi sposto verso il punto indicato dalla gentil signora. Mi ritrovo in un enorme salone e finalmente vedo sbucare il pacchettone verde, un po’ acciaccato ma incredibilmente intero. Avendo fatto uno scalo, temevo un po’.
Mirko è li che mi aspetta e visto che è sera, e fuori ormai è decisamente buio, chiediamo alle guardie di poter spacchettare e rimontare la mia bici in un angolino, all’interno dell’aeroporto. Loro accettano e si mettono a guardarci come se non avessero mai visto una bici da trekking… probabilmente è così 🙂
Finalmente in sella, non mi sembra vero! Annuso l’aria, sento il profumo del mare e l’odore delle spezie, mi viene subito fame e ci fermiamo al primo kebabbaro che troviamo.
Oltre ai voli di andata e ritorno ho fatto un’unica prenotazione, la Guest House di stanotte, sapendo che sarei arrivata tardi.
La mattina, dopo una bella dormita e la colazione a base di uova e fagioli piccanti, carichiamo le bici sull’autobus che ci porta a Nevsehir, in Cappadocia, l’inizio della nostra avventura.
E’ già, visto il tempo limitato e il percorso che vogliamo fare abbiamo deciso di saltare la prima catena montuosa, che passa i 2.000 m. Di montagne ne affronteremo in abbondanza più avanti e in questo periodo le temperature di notte scendono anche sotto lo 0, piove molto e nevica spesso, perciò ho preferito fare una partenza un po’ più morbida e godermi subito la meravigliosa Cappadocia.
Arrivati a Nevşehir cominciamo a pedalare e dopo qualche chilometro ci imbattiamo in uno splendido villaggio, Göreme, che sembra perfettamente integrato con il paesaggio roccioso circostante.
E’ uno spettacolo mai visto, vento e pioggia hanno letteralmente scolpito il territorio, creando un panorama surreale. Le antiche abitazioni scavate nella roccia sono quasi tutte consumate e sgretolate, perciò sono state costruite case più classiche a monte delle vallate.
A parte il rumore di qualche macchina che ci passa alle spalle nell’aria si diffonde il richiamo alla preghiera del Muezzin della moschea più vicina, che ci fa sprofondare completamente in un’atmosfera magica e misteriosa, in un territorio che sembra voler raccontare il suo passato.
Prima di mangiare qualcosa decidiamo di passare a vedere quello che chiamano “il castello”, un’intera collina di roccia all’interno della quale sono state scavate porte, finestre, stanze e saloni. Il risultato effettivamente spiega il perchè di quel nome altisonante, è davvero una struttura imponente! Peccato che piano piano stia andando in pezzi.
FINALMENTE IL PRANZO, MA…
Ci fermiamo a mangiare in un posto piccolissimo. Il proprietario ci racconta che tutto ciò che serve è fatto da sua moglie, che è cucina casalinga e che è tutto davvero genuino. C’è un tavolino all’aperto e, visto che abbiamo preso un po’ di pioggia ma ora è uscito il sole, preferiamo sederci fuori, per scaldarci ed asciugarci un po’. Mangiamo di gusto e ci riposiamo, ma quando arriva il conto… ci sentiamo davvero degli imbecilli… è stato il pranzo più caro di tutto il viaggio. E’ vero che la Cappadocia è meta turistica, ma siamo pur sempre in mezzo alla Turchia!!
Dopo esserci rifocillati ed asciugati decidiamo di andare ad esplorare i meandri del ‘castello’ e di arrampicarci fino in cima, e da li… che spettacolo!
Il tempo passa e non ce ne accorgiamo! Bisogna muoversi. Inforcate di nuovo le nostre bici cominciamo a cercare un posto dove accamparci per la notte, ma troviamo solo terreni in pendenza o troppo fangosi, a causa delle frequenti piogge.
Decidiamo di uscire dalla strada di terra battuta per avventurarci nei campi per oltrepassare una piccola collina, dietro la quale speriamo di sistemarci, lontano dalla strada. Finalmente troviamo un punto in piano, tra due alberi. Contenti cominciamo a tirar fuori tutto il necessario dalle borse, quando sentiamo abbaiare un cane. Ci voltiamo e vediamo un cagnone che corre verso di noi con aria bellicosa.
Subito dietro due uomini si avvicinano e per fortuna, quando il cane sta per raggiungerci, lo richiamano gridando “Ghel”!
Rimangono distanti ma uno dei due, in un buon inglese ci dice che dove ci stiamo fermando non è sicuro e ci propone di spostarci sul suo terreno, poco più in basso. Dice che c’è una fonte d’acqua potabile, un allevamento di galline, una grotta, dove, se vogliamo, possiamo dormire e un bagno…. anche se più tardi si sono rivelati più accoglienti i cespugli 🙂
Dopo un’offerta così non possiamo rifiutare. Raccogliamo tutto e scendiamo, accompagnati dal cagnone, che abbiamo scoperto essere un cucciolone di 10 mesi, (e anche un po’ pauroso), di Kangal, il Pastore dell’Anatolia. Chiedo al suo padrone come si chiama e lui mi risponde: “non lo so… non ha un nome, ma quando gli dico Gel, (che si pronuncia Ghel, che in turco significa “vieni”), lui viene… e quindi forse Gel è il suo nome!” Sono morta dal ridere!
Decidiamo di non usare la grotta per dormire, preferiamo la tenda, che montiamo in un attimo nel punto più pianeggiante dell’appezzamento, sistemando dei teli impermeabili sulle bici per creare una tettoia, in vista della pioggia che potrebbe arrivare.
Il panorama che si vede da lassù è davvero incredibile!
Guardando la mappa mi rendo conto che ci siamo accampati a monte di quella che è chiamata “Love Valley”… rimango perplessa, ma poi osservandola bene capisco il perchè….
Chiacchieriamo un po’ con il proprietario del terreno, ci racconta la sua storia, ci fa visitare il pollaio e la fonte di acqua potabile, che altro non è che una grotta nella quale si accumula la pioggia che filtra dal terreno sovrastante… ci guariamo perplessi, ma lui ci rassicura! in ogni caso…. è l’unica che c’è e noi abbiamo sete! Prendo il pentolino e vado a fare acqua 🙂
Era buonissima e non ci sono state conseguenze! Aveva ragione lui.
Nel tardo pomeriggio, aspettando di mangiare qualcosa e di infilarci nei sacchi letto, decidiamo di esplorare la zona e troviamo il modo di infilarci nella Love Valley e ci ritroviamo in un ambiente da favola! Peccato che manca il sole, sarebbe stato un paradiso.
Dopo una bella passeggiata ci prepariamo della pasta con il fornello da campeggio, mangiamo un pezzo di formaggio ed un paio di banane e ci chiudiamo in tenda, prima che scenda il gelo della notte. Per fortuna mi sono portata il mio sacco a pelo più pesante, un ‘Camp – Denali 800’, tiene fino a -25° 😉
UN RISVEGLIO INASPETTATO
La mattina, alle prime luci, veniamo svegliati da un sibilo, poi un altro, poi un altro ancora. Tutti stropicciati dal sono, mettiamo la testa fuori dalla tenda per capire cos’è quel suono e… rimaniamo a bocca aperta! Il cielo, colorato dalle luci dell’alba, si sta riempiendo di mongolfiere!
Dopo una mezz’ora le mongolfiere sono ormai in lontananza e le nuvole hanno coperto un po’ il sole. E’ ancora molto presto però, meglio tornare in tenda e dormire ancora qualche ora, anche per aspettare che la temperatura salga un po’.
DALLA CAPPADOCIA VERSO YOZGAT
La notte ha piovuto molto e il tempo non sembra migliorare.
Abbiamo raggiunto questa collina arrampicandoci per i campi, dopo aver attraversato chilometri di stradine sterrate, se ci muovessimo adesso probabilmente rischieremmo di impantanarci e potremmo metterci ore a raggiungere la strada, costretti a portarci le bici in spalla. Perciò decidiamo di rimanere fermi, accampati a monte della Love Valley, per aspettare che passi la perturbazione.
Rimaniamo in tenda, a parlare delle prossime tappe e a leggere, a tratti, ‘Un indovino mi disse‘ di Tiziano Terzani, che Mirko ha sul Kindle che per fortuna si è portato dietro. Non c’è campo qui, i telefoni non prendono. Ne approfittiamo per disintossicarci.
Abbiamo fatto bene a sistemare il telo cerato tra le due bici, davanti all’ingresso della tenda. Sotto abbiamo sistemato le borse, che, anche se sono stagne, è sempre più comodo aprire all’asciutto, soprattutto quando non trovi quello che cerchi e devi cercare in tutte!!
Affettando del pane da mangiare con l’unico formaggio che siamo riusciti a trovare. Questo oggi è il nostro pranzo e probabilmente anche la cena se non smette di piovere. Meglio evitare di accendere il fornello in tenda. Abbiamo anche datteri, albicocche secche, mandorle e cereali per la colazione, il tutto accompagnato dalla buona acqua della grotta sotto di noi.
Ad un certo punto una testa scura fa capolino al di la della tettoia, guarda dentro, fa una faccia stupita e farfuglia qualche frase in turco! Noi lo salutiamo in inglese e lui ci sorprende rispondendoci correttamente e rivendicando la proprietà. E’ il vero proprietario del terreno su cui siamo… lo zio (!!) che appena ha saputo che eravamo li è venuto a presentarsi, portando un amico.
Quando si accorge che sono una donna si stupisce ancora di più e mi dice col sorriso che una donna non dovrebbe essere li, accovacciata per terra, tutta sporca, con un coltellaccio in mano ad affettare il formaggio. Io in tutta risposta ne taglio un pezzo e glielo porgo, ringraziandolo per l’ospitalità e dicendogli che è il benvenuto nella nostra tenda. Lui mi guarda immobile, con gli occhi sgranati, che pian piano diventano sempre più sorridenti, e dopo un attimo di esitazione accetta il mio omaggio e mangia con noi.
Nel pomeriggio, in una pausa tra un temporale e l’altro, ci hanno offerto il loro vino 😉
FINALMENTE SI RIPARTE
Dopo qualche giorno finalmente smette di piovere ed esce il sole, quindi decidiamo di partire.
Del proprietario nessuna traccia. Ieri sera, dopo tutta quella pioggia, non è riuscito ad andarsene con il pick-up con cui era venuto, perchè sulla salita che porta alla stradina sterrata c’era troppo fango. Si è fatto venire a prendere da qualcuno con una moto e non si è più visto.
Guardiamo la mappa e, in base al percorso previsto, ci accorgiamo che il centro abitato più grosso che incontreremo è Yozgat, più a Nord. Ci metteremo qualche giorno a raggiungerlo. La Cappadocia è un altopiano, a circa 1000m di altitudine, tra poco incontreremo vallate e picchi, che dovremo scalare e superare. Meglio non pensarci e fare un passo, o meglio, una pedalata alla volta, e comunque PER OGNI SALITA c’è UNA DISCESA. Chiudiamo la tenda, sistemiamo le borse sulle bici e partiamo. Il paesaggio è da togliere il fiato, pedaliamo tra prati verdissimi e sculture naturali.
In Turchia al posto del caffè bevono un ottimo tè, chiamato çay, si pronuncia ‘ciai’. Lo si trova dovunque, spesso anche gratis, fuori dai negozi che si trovano lungo le strade, la versione turca dei nostri Autogrill, ma senza i distributori di benzina. In ogni caso anche all’ingresso dell’ufficio cassa di molti benzinai c’è un grande termos, con bicchieri di carta, zucchero e bacchettine di legno e si può servirsi da soli fino a quando si desidera, totalmente gratis. Per noi è una grande fonte di calore ed energia, ci fermiamo quasi ogni ora per scaldarci un po’ e ritemprarci con un bel çay ed un pezzettino di cioccolato.
Arriva la fame vera, dovrebbe essere il pranzo, ma in realtà non badiamo molto agli orari, quanto al corpo che chiama e alle condizioni meteo.
Decidiamo di fermarci vicino ad un muretto di cinta di una struttura che potrebbe essere una scuola, o comunque una struttura pubblica, in un piccolissimo centro abitato. Ci sediamo sul marciapiede e cominciamo a preparare il necessario per cucinarci la pasta.
Ad un certo punto alle nostre spalle spunta il faccione curioso di un signore calvo, con dei gran baffoni grigi e l’aria simpatica. E’ serio, fa finta di guardare altrove ma gira gli occhi e ci fissa, non riesce a farne a meno! Lo salutiamo e… è la fine! Si siede sul muretto e ormai non ha più ritegno, non ci toglie gli occhi di dosso, osserva ciò che facciamo e come mangiamo, come se non l’avesse mai visto fare prima! Proviamo a parlargli ma non parla altra lingua se non il Turco, quindi ci esprimiamo a gesti. Sembra che apprezzi il nostro pasto. Ricomincia a piovere, qualche goccia. Noi non facciamo una piega, ma lui dopo un’attimo comincia ad agitarsi, come se improvvisamente gli fosse venuta in mente una cosa ovvia! Muove le braccia indicandoci il giardino dello stabile, dove ci sono due chioschetti con delle panchine, al coperto! Afferra la mia bici e la porta all’interno, così io prendo l’altra, mentre Mirko raccoglie la pentola bollente ed il fornelletto e ci raggiunge. Ma che gentile!!!
Mangiamo all’asciutto con il nostro amico che continua a guardarci.Nel frattempo sono usciti a farci compagnia anche due suoi compari. A due bocconi dalla fine ci dicono qualcosa in turco, indicando lo stabile da cui sono usciti, e tra i vari suoni, per noi incomprensibili, cogliamo la parola magica, ‘çay’! Ok, andata!! Li seguiamo all’interno per bercene uno bello caldo… due, tre, quattro… !!! Alla fine abbiamo dovuto fermarli e, a malincuore, rifiutare.
Prima di andare via il nostro amico, che abbiamo scoperto chiamarsi Yussuf, ci ha chiesto una foto ricordo, che non abbiamo esitato a mandargli.
LA MIA PRIMA CADUTA
E’ tornato il sole e riprendiamo a pedalare ritemprati e riscaldati. Dopo qualche altra ora e diversi sali-scendi ci accorgiamo che il sole sta cominciando a calare. Dobbiamo trovare un posto per piantare la tenda. Cerchiamo terreno pianeggiante, riparato quanto possibile dal vento, ma soprattutto dalla vista, quindi lontano dalle strade percorse dalle auto.
Ci infiliamo in una strada sterrata che sembra percorribile, nonostante la tanta pioggia di questo periodo, ma dopo qualche curva ci troviamo davanti un pozzangherone con ai lati fango intriso d’acqua. Ci guardiamo e cominciamo gia a ridere, immaginando la caduta, ma Mirko mi dice “non ti preoccupare, io ci ho messo 3 mesi prima di cadere”. Cambiamo il rapporto delle bici e cominciamo a pedalare veloce, lui davanti a me. Proprio in mezzo al pantano lui si ferma un attimo, appoggia il piede destro sul fango e comincia a sprofondare. A fatica lo tira fuori, ricomincia a pedalare e riesce a passare. Io, dietro di lui, mi fermo per non andargli addosso, faccio per appoggiare anch’io il piede destro e…. non si stacca dall’aggancio del pedale! Crollo sul lato destro con tutta la bici dritta dritta nel fango. Faccio per rialzarmi ma mi sembra di essere risucchiata da quella melma, mi appoggio alla bici per uscirne, ma sprofonda anche lei. Per fortuna che, appoggiandosi alle borse ha ‘galleggiato’ sul fango, e con uno sforzo tremendo, tra i crampi allo stomaco per le risate 🤣 riesco a venirne fuori, tutta bella infangata!!!
CIRCONDATI DAI CANI
Finalmente troviamo una radura che sembra fare al caso nostro. Dopo pochi minuti però, gli anni passati tra i boschi col mio papà mi hanno aiutato a riconoscere diversi segnali. A parte le tane delle talpe e dei topolini, che squittiscono ad ogni nostro passo, il terreno è costellato di diverse impronte, davvero tante, dappertutto, e tra i rami dei cespugli si vede chiaramente una sorta di galleria formata dal passaggio di animali, decisamente più grande della dimensione di un leprotto… Tra le altre distinguo chiaramente le impronte di cani di grossa taglia!
Mirko mi prende in giro, dice che sono io che ho paura e mi tranquillizza. Così non ci penso più! Montiamo la tenda, facciamo legna e accendiamo un bel fuocherello intorno al quale ci sediamo a mangiare, giusto in tempo prima che faccia buio.
Abbiamo parecchia strada oggi, ma quello che mi ha stancato di più è stato pedalare per chilometri nel fango, caduta compresa! Se ci penso rido ancora!! Dopo cena mi infilo in tenda e crollo addormentata.
Ad un certo punto faccio un sogno, di quelli in semi coscienza… sto scappando a gambe levate perchè ci sono dei cani che mi rincorrono, (‘mi sarò fatta influenzare dalle orme di ieri sera’, mi dice la mia parte razionale). Li sento abbaiare e ringhiare da lontano, ma poi mi raggiungono e rimango impietrita dalla paura. Sono vicinissimi a me, continuano a ringhiare… si avvicinano troppo… troppo vicini… vicini al mio orecchio destro… apro gli occhi… SONO VERI!!!! 😱 Non sto sognando! Sono le 5 di mattina. Sembrano 3 o 4 cani, che abbaiano e ringhiano a pochi centimetri dalla mia testa!!!! L’unica cosa che ci separa è il telo della tenda! Hanno toni diversi e un vocione profondo, devono essere grossi. Ho la pelle d’oca e ho paura. Spero che non siano così intelligenti da capire che la stoffa è sottilissima e così impavidi da attaccare la tenda senza sapere cosa o chi c’è dentro, l’odore di esseri umani lo sentono sicuramente, ma l’incognita c’è comunque, non credo che abbiano mai visto un affare del genere prima d’ora nella loro zona. I cani sono territoriali anche in città, figuriamoci quelli randagi in battuta di caccia 😫
Io adoro i cani, e ne ho uno di taglia media, preso in canile, ma da bambina sono stata morsa da un pastore maremmano, quindi adesso non riesco non pensare ai loro denti. Mirko è più tranquillo e cerca di trattenersi dal ridere davanti alla scena di me con il coltello in una mano e lo spray al peperoncino nell’altra, pronta a combattere!!! 😂
Rimaniamo immobili per… non lo so, per me tantissimo, forse una ventina di minuti. Dopo di che, improvvisamente, se ne vanno.
Aspettiamo ancora un po’, per essere sicuri che non ci siano davvero più, e quando scende l’adrenalina crollo addormentata. Dopo un paio d’ore metto la testa fuori. Nessuno in vista. Ci alziamo e, in tutta fretta, sistemiamo tenda e borse e ce ne andiamo. La colazione la faremo più avanti!
Ri-attraversiamo le stradine sterrate che con tanta fatica abbiamo passato ieri pomeriggio e raggiungiamo di nuovo l’asfalto.
Pedaliamo per circa un’ora, ma poi la fame si fa sentire. Senza colazione le gambe sono dure, sembra di pedalare fortissimo ma non si va avanti. Decidiamo di fermarci a bordo strada, vicino ad una sorta di acquedotto, per essere un po’ protetti dal vento. Di case o costruzioni non c’è traccia da nessuna parte.
Accendiamo il fornelletto e ci cuciniamo delle uova strapazzate, ben 6 (!), da mangiare col pane e poi ci beviamo un buon tè bollente con tanto miele. Mentre lo sorseggio mi vengono in mente i cani che ci hanno dato la sveglia questa mattina e uno sguardo intorno lo do, temo che l’odore del cibo possa attirare altri randagi. Per fortuna nessuno all’orizzonte!
Ricominciamo a pedalare. Abbiamo fatto il carico di calorie e proteine, ma c’è una controindicazione. La colazione a base di uova era troppo abbondante e ora ne sentiamo tutto il peso. Siamo affannatissimi e abbiamo rallentato molto. Solo dopo qualche ora, e qualche pausa, riprendiamo il nostro ritmo.
Le nostre bici, più le borse e la scorta di cibo e acqua, sono davvero pesanti, 50 kg la mia e almeno 65 quella di Mirko, perciò la nostra velocità di crociera gravita intorno ai 20 km/h. So che fa ridere per chi è abituato a viaggiare leggero o a correre in bici, e so anche che le nostre bici pesano davvero troppo, normalmente non si dovrebbero superare i 30 kg in totale, ma noi… hehehe volevamo allenarci 😂
Tuttavia Mirko ha scoperto un metodo infallibile per farmi accelerare fino a quasi 40 km/h senza nessuna fatica, solo un po’ di…”stress”!
Dopo essere stati accerchiati, mentre eravamo in tenda, al solo pensiero che un cane randagio mi si avvicini mi fa venire la pelle d’oca, figurati se si mette anche a rincorrermi!! Terrore puro, con grandi risate di Mirko, che da quel momento quando vuole farmi aumentare velocità mi “abbaia”, e io scatto alla velocità della luce!
L’INCONTRO CON LA STREGA DI YUKARI HASINLI
Attraversiamo territori deserti, davvero incontaminati, prati e terra brulla per chilometri, fino all’orizzonte, a 360°.
Lungo il cammino incrociamo un piccolo villaggio. Avremmo bisogno di trovare un negozio o un posto dove fermarci un attimo a riposare e bere un çay, quindi ci inoltriamo su quella che sembra la via principale.
La desolazione!
Il paese sembra abbandonato, se non fosse per le pochissime figurine nere che, ai lati della strada o delle case, fanno lavoretti qua e la. Ci guardano di sfuggita e poi distolgono lo sguardo, sono tutte donne, (forse 4 o 5), per il resto è deserto. Anche se la considerazione che ci viene spontanea è che, probabilmente, gli uomini sono a lavorare nei campi e i bambini a scuola. E’ comunque una sensazione abbastanza strana passare in un posto così “vuoto”.
Nota doverosa: oggi, dopo il Lock Down per il Covid19 non mi sembra più così strano❣️
Passato il villaggio, dopo un po’ di km ci fermiamo lungo la strada a mangiare del pane e formaggio, ma ripartiamo in fretta, perchè il sole comincia a calare molto presto e col buio, in mezzo al nulla, è davvero difficile trovare un posto dove dormire.
Pedaliamo ancora per qualche ora e ci troviamo ad un bivio, a sinistra lungo la strada principale, a destra una stradina tutta curve, circondata a tratti da alberi verdissimi, che si stende tra delle colline morbide e sparisce verso il sole. Mi sembra che ci sia qualcosa di magico laggiù, perciò decidiamo di andare verso destra e di scoprire cosa c’è la in fondo, anche perchè è ora di piantare la tenda, letteralmente.
il paesaggio è davvero da fiaba, con tanto di torrente di acqua cristallina che gorgoglia, il sole, ormai piuttosto basso, che filtra attraverso i rami degli alberi, e in lontananza delle casette. Perfetto! Quello che spero è che magari qualcuno ci possa ospitare in un giardino, così possiamo montare la tenda e dormire al sicuro, (dai cani…).
Mentre entriamo nel villaggio rallentiamo la pedalata, ma improvvisamente alzando lo sguardo ci accorgiamo di un enorme nido proprio al centro del paese. Le cicogne hanno scelto un palo della luce per deporre le loro uova 🙂
Il boschetto appena prima del paese sarebbe perfetto per passare la notte, ma è impossibile, il terreno non ha drenato l’acqua delle piogge dei giorni scorsi ed è tutto allagato. Troviamo diverse case che sembrano abbandonate. Potrebbero andare benissimo, ma, osservando meglio, in alcune il pavimento è ricoperto da macerie e altre… non sono per nulla abbandonate! Sono decisamente diroccate, senza porte e finestre (!!) ma con i panni stesi fuori ad asciugare e i bimbi che corrono a piedi nudi nel cortile rincorrendo le galline.
Arriviamo fino in fondo al paese e l’immancabile cane incavolato esce da un cortile e ci rincorre abbaiando 🙄
Andando oltre ci accorgiamo che non c’è più nulla, neanche delle rocce o degli alberi dietro ai quali nasconderci per la notte. Così decidiamo di tornare indietro, ripassando dal cane che ovviamente ripete la scena…
Al centro del paese troviamo un terreno in piano, sul versante della collina ai piedi della quale si sviluppa il centro abitato. E’ terrazzato, con un muretto intorno, sembra far parte di una proprietà che comprende anche una casetta un po’ meno malconcia delle altre. Nel giardino ci sono due persone anziane, presumibilmente i proprietari, un uomo un po’ ricurvo e una donna tutta vestita di nero con il velo in testa, tutta raggrinzita. Li guardo e subito commento: ‘che carini’! Così decidiamo di chiedere la possibilità di montare la tenda in quel prato. Mirko si muove con la bici, fa qualche pedalata verso di loro e saluta con il tipico “salam alaykum”. Ma invece di sentire in risposta “alaykum salam”, sento la signora che comincia ad urlare, agitandosi e sbracciando. Il marito la avvicina, cercando di calmarla, ma viene mandato in casa in malo modo. Poi, con gli occhi socchiusi e sguardo inviperito, fissa Mirko e ricomincia a sproloquiare in turco, urlando e indicandogli di tornare da dove è venuto.
Io, a distanza di sicurezza, non so se sentirmi scioccata o se scoppiare a ridere! Guardo Mirko, non l’ho mai visto così abbacchiato. Torna verso di me pedalando lentamente, fissando il terreno sotto la ruota anteriore, con gli angolini della bocca verso il basso, e quando arriva mi dice con voce cupa: “sembra una strega, ha gli occhi cattivi, andiamo via” 🤣
Ho provato a farlo ridere, ma la signora lo aveva davvero colpito. Ci sono riuscita solo una mezz’oretta dopo 🙂
Usciamo dal paese, pensando di tornare verso la strada principale e andare oltre, ma ormai il sole sta tramontando, rischiamo di pedalare al buio e di avere problemi per la notte.
Guardando a sinistra, poco prima dello stradone, notiamo che a circa metà della collina c’è una rientranza. Potrebbe essere un buon posto, sperando che il terreno sia in piano e che non sia intriso d’acqua.
Per salire dobbiamo spingere le bici per un bel pezzo, ne portiamo su una alla volta, perchè è molto ripido, Mirko spinge dal manubrio e io da dietro.
Il posto è perfetto, c’è solo una chiazza di fango, ma la copriamo con il telo impermeabile. Certo che comunque camminando qua e la di fango ne abbiamo raccolto un bel po’… soprattutto sotto i piedi!!
Non siamo neanche troppo visibili dalla strada. L’unica mia preoccupazione sono delle impronte, come al solito, stavolta di cinghiali, che trovo li vicino. Dopo i cani non ho molta voglia di essere attaccata dai cinghiali… quelli non stanno mica li ad abbaiare, caricano qualsiasi cosa gli si muova davanti! Ma mentre ne parliamo sentiamo degli spari, proprio nella direzione verso la quale andavano le impronte dei cinghiali… è stata la prima volta che ho ringraziato dei cacciatori 🙂
Il sole è ormai un puntino incandescente appoggiato sulla collina dall’altra parte della vallata, che ora è tutta nera, con i raggi di luce dei fari delle pochissime macchine che ci passano in mezzo e che sembrano sparire nel nulla.
Mentre io finisco di sistemare la tenda, Mirko prepara una pasta al volo, in bianco, con l’olio… buonissima! La pasta più buona che abbia mai mangiato. Ne divorerei il triplo, ma non si può, deve bastare per i prossimi giorni. Così laviamo il pentolino, sistemiamo tutte le provviste lontano dalla tenda, in modo da attirare eventuali cinghiali sopravvissuti lontano da noi, e via a dormire. Ormai è decisamente buio. Il libro di Terzani ormai è un lontano ricordo. Alla fine delle giornate sono talmente stanca che crollo subito addormentata!
Ci svegliamo piuttosto presto. Stavolta facciamo colazione con Muesli, banana, miele e tè. Tutta un’altra storia.
In un attimo chiudiamo tutto e si riparte alla grande!
E’ ORA DI FARE UNA DOCCIA!
Pedaliamo ad un buon ritmo, facendo qualche tappa per ricaricarci con il buonissimo çay. Arriva velocemente la fame quella vera, così decidiamo di fermarci lungo uno sterrato. Ci sono delle rocce che sembrano ‘comode’ per sedersi e riposare un po’. Non è rimasto molto nella ‘stiva’. Abbiamo bisogno di calorie, ma l’ultima pasta ce la teniamo per stasera. Quindi facciamo fuori il formaggio con un pezzo di pane, e come dolce datteri, (che qui sono davvero buoni e costano pochissimo), con le noci… mi fa quasi Natale 😏
Si riparte, dobbiamo avvicinarci il più possibile a Yozgat, il primo centro abitato che abbia strutture ricettive. Non facciamo una doccia da quando siamo partiti da Adana e, nonostante io abbia una buona scorta di salviettine umidificate e deodorante, comincio a ”sentirne” l’esigenza!
I chilometri successivi ci portano ad attraversare zone verdissime e meravigliose, ma ci siamo alzati di altitudine, mentre la temperatura comincia a scendere. Sulle discese il vento è pungente.
Il buio arriva presto, essendo Aprile e avendo delle colline intorno. Il paese è ancora troppo lontano e dobbiamo cercare un posto per montare la tenda. Il punto in cui ci troviamo è in mezzo al nulla e la visibilità, dalla strada verso i campi, è profonda. Non possiamo fermarci qui. Guardo la mappa e mi accorgo che a 7/8 km c’è un lago, con delle colline tutte intorno. Sembra un buon posto. Lasciamo la strada asfaltata e ci dirigiamo verso Est.
La prima parte dello sterrato è meraviglioso. Ci sono nuvole minacciose sopra di noi, ma il sole, che sta calando, filtra dalla parte ancora serena e illumina l’erba fresca, che sembra brillare di luce propria. Gli squarci nel cielo sono di un azzurro che mai ho visto in altri posti del mondo!
Ovviamente, però, tutte le favole devono finire 😤 e avvicinandoci al lago il terreno si fa sempre più fangoso, fino a che ci troviamo davanti ad un bel pozzangherone. E NO!!! Mi hai già fregato una volta Mirko!! Adesso vado avanti io! E non basta, scendo anche dalla bici e me la faccio a piedi… stavolta non voglio cadere 😉
Ripulite alla meglio le ruote dal fango facciamo gli ultimi chilometri in salita, per portarci in cima al punto più alto della costa. Una volta arrivati mi rendo conto che ci abbiamo preso! Il posto è perfetto e il panorama è magnifico.
Riusciamo a montare la tenda che ancora il sole deve tramontare. Ci prepariamo la tanto agognata pasta all’olio e dopo mangiato sprofondo in un sonno senza sogni.
Di notte comincia a piovere e… non smette più! La mattina aspettiamo qualche ora in più del solito, sperando che migliori ma rischiamo di rimanere bloccati, vista la situazione dello sterrato che dobbiamo riattraversare. Così facciamo colazione con dei datteri, visto che all’esterno è impossibile accendere il fornellino, prepariamo tutto e ripieghiamo la tenda. Non c’è nulla che sia rimasto asciutto, tranne ciò che indossiamo sotto alle mantelle.
Piove tutto il giorno, incessantemente. Non troviamo riparo neanche per fermarci a pranzare, perchè non ci sono case, o anche solo una tettoia, nulla. Così pedaliamo sgranocchiando pezzettini di cioccolato.
Con tutte queste nuvole a metà pomeriggio diventa già buio, dobbiamo assolutamente fermarci. Avremmo ancora qualche ora per arrivare a Yozgat, ma col buio e la pioggia non si pedala. Pensare di allontanarci dalla strada ora è impensabile, troppo fango, troppo buoi, troppo tardi per tutto. Essendo in prossimità del paese troviamo un benzinaio. Chiediamo, con i soliti gesti, di poter montare la tenda dietro al suo ufficio e, con nostra grande gioia, acconsente con un gesto, indicandoci un punto tra il muro ed un furgone abbandonato. Nel frattempo ha smesso di piovere, giusto in tempo per farci sistemare tutto per dormire. Sono ”stracciata” dalla stanchezza e sento l’umidità fin nelle ossa!
La notte passa in un soffio. Vorrei dormire di più, ma i rumori della strada aumentano e i curiosi cominciano ad arrivare. Fortunatamente è uscito un po’ di sole, quindi decidiamo di fare colazione con un bel çay caldo, offerto gratis all’ingresso del benzinaio, e di aspettare che la tenda si asciughi, prima di ripiegarla e metterla nel suo sacco. E’ da qualche giorno che è bagnata e il rischio è che poi puzzi di muffa.
Gironzolo nel campo dietro al furgone. E’ pieno di fiori gialli bellissimi. Intanto Mirko suona la chitarra, (che porta con se, in una custodia impermeabile, legata sopra al borsone posteriore), attirando l’attenzione di un paio di ragazzotti locali. Si avvicinano e vedo uno dei due gesticolare verso lo strumento. Divertito Mirko gli cede la chitarra e il ragazzo si mette a cantare in turco una canzone, che, a sentirla, sembra strappalacrime. Mi avvicino e lo riprendo con il telefono, anche se so che non potrò publicarlo. Quando se ne accorge alza il tono della voce, chiude gli occhi e alza il mento verso il cielo, cantando a squarciagola la sua splendida serenata! Alla fine della sua performance applaudiamo e lui, tutto fiero, rende la chitarra a Mirko, ci saluta calorosamente e se ne va, contento, con il suo amico. Mi sa che lo racconterà per un po’ 😂
Ok la tenda è asciutta. Raccogliamo tutto e partiamo. Saltiamo in bici e facciamo quei pochi chilometri che mancavano a Yozgat. Finalmente arriviamo. Non stiamo viaggiando per stare nelle città, perciò l’idea è di passarci solo una notte e ripartire domani mattina. Giusto il tempo di comprare del cibo per i prossimi giorni e per farci una bella e luuuuuunga doccia.
Troviamo una camera nella prima guest house a cui chiediamo. Costa pochissimo ed è pulita, ma non possiamo portare le bici all’interno. Abbiamo diverse borse e per una sola notte non ha senso portare su tutto. Ne parliamo al ragazzo alla reception, che chiama un amico, che ne chiama un altro… insomma alla fine ci hanno aperto un negozio in ristrutturazione davanti all’albergo e ci hanno fatto mettere le bici li dentro, in vetrina 😂
Andiamo a fare la spesa, ci ripuliamo e andiamo a cercare un posto dove pranzare, anche se è un po’ tardi.
Ci allontaniamo dalla via centrale, piena di gente, per cercare un posto un po’ defilato, (ci siamo fatti la doccia, ma non abbiamo potuto lavare i vestiti… 😅). Qualche via più in la passiamo davanti ad un locale scarno, con la vetrina opaca, stretto e lungo, con poca luce, le pareti grigie e i tavolini bianchi, il soffitto dipinto di nero, per nulla invitate, ma…. dalla porta esce un profumo che ci ”aggancia” letteralmente dalle narici e ci trascina all’interno, senza che neanche ce ne accorgiamo… Salam aleikum! All’interno solo uomini, seduti a chiacchierare, e una sola donna, vestita di nero, con il velo in testa, ma con il viso scoperto, paffutello e sorridente, che ci viene incontro. Ci guarda con gli occhi sgranati e pieni di curiosità, non riesce a smettere di sorridere e sembra un po’ agitata. ”Zampetta” qua e la, ci parla in turco e gesticola un po’, cerca di dirci qualcosa ma non capiamo niente. Nessuno parla inglese. Facciamo capire a gesti che vorremmo mangiare e gentilmente ci fa accomodare, lasciandoci il menù… in turco. Lo mettiamo da parte e cerchiamo di farle capire di portarci quello che vuole, ma ridiamo tutti, perchè tra gesti e facce sembriamo veramente dei rimbambiti 🤣
Dopo circa un quarto d’ora arrivano i nostri piatti. Riempie completamente il tavolino! Non ho idea di che cosa sia quello che ci ha portato, ma è buonissimo!!
La signora, che a occhio e croce dovrebbe avere almeno 10 anni più di me, rimane seduta a circa due metri e, mentre mangiamo, ci fissa per tutto il tempo. Mi ricorda Yussuf 😆
Rimaniamo un bel po’, tra le chiacchiere a proposito delle prossime tappe e il cibo delizioso passa qualche ora. Continua a piovere incessantemente. Ormai sono le 3 passate. Il cielo è scuro e tutto ci dice che un pomeriggio di riposo completo è la cosa migliore da fare.
ci prendiamo il pomeriggio per poltrire. In camera c’è la wifi, (per chi viaggia in questo modo è come l’acqua nel deserto). Siamo rimasti scollegati per giorni, quindi finalmente possiamo avere qualche aggiornamento dal resto del mondo e vedere qualche film.
Ceniamo con un kebab, li vicino, che secondo me è il migliore della Turchia, e andiamo a dormire presto.
La mattina chi svegliamo con calma. Apro la finestra e… piove! Ma… a catinelle!!! Un diluvio. I vestiti di ieri sono ancora leggermente umidi. Da Yozgat in poi iniziano le montagne, toccheremo i 2000 metri e ci hanno detto che sta nevicando. Nei prossimi 300 km ci sarà solo un’altra città dove potremo dormire in un albergo. Ok, rimaniamo qui almeno un’altra notte, così ci riposiamo bene e poi si riparte! Ci alziamo e andiamo a cercare un posto dove fare colazione seduti ad un tavolino 😃
La colazione dolce la si fa solo in Italia ed in Francia, questo ormai è assodato, quindi cerchiamo un’alternativa ”salata”, ma nulla ci ispira. Forse è meglio tornare al locale dove abbiamo pranzato ieri, magari hanno qualcosa di speciale per la mattina. Quando arriviamo la signora ci fa un sacco di feste e ci fa sedere subito. non dobbiamo neanche chiedere che abbiamo già una succulenta colazione sul tavolo, piccante e speziata. Oggi però la signora non si fa sfuggire l’occasione e chiama il marito, che avrà almeno 20 anni più di lei, e i figli, una ragazzina di 12 anni e un ragazzo di 16. Stavolta si presenta, si chiama Kevser e ha 9 anni meno di me 😲, non me lo aspettavo!
Il figlio ha portato un dizionario turco/inglese, quindi comincia a farci domande di cui, almeno, capiamo parzialmente il significato. Kevser ha tante curiosità. Mi rendo conto che non sia comune a Yozgat avere degli Italiani seduti al tavolo del proprio ristorante. Dopo un po arrivano anche le amiche, che ci vogliono conoscere… un evento! Abbiamo passato ore a rispondere e a fare domande, cercando di parlare in turco, dizionario alla mano, per farci capire meglio. Tra l’altro abbiamo scoperto che, come l’italiano, il turco è l’unica lingua che si pronuncia come si scrive, (bisogna conoscere, però tutte le varianti delle loro vocali, che sono molte di più delle nostre).
Passa talmente velocemente il tempo che passa l’ora del pranzo. Quando ce ne accorgiamo i nostri amici insistono per farci rimanere. In effetti stiamo davvero bene li, quindi ci fermiamo. Ma mentre ci preparano da mangiare salta la corrente. Ci spiegano che il nuovo presidente della Turchia ha stabilito che per 3 giorni a settimana debba essere interrotta l’erogazione dell’elettricità per tre ore in tutta la nazione, per risparmiare e combattere la crisi economica che affligge li affligge in questo periodo. Noi ci guardiamo e decidiamo che allora, magari, possiamo pensare di tornare in albergo… NO! Assolutamente no! Se ce ne andiamo si offendono! il locale è sempre più pieno di persone curiose, e al nostro tavolo arrivano comunque pietanze fredde da gustare, mentre aspettiamo il resto.
Il tempo passa ed io comincio ad essere stanca, vorrei andare. Ne parlo a Mirko, ma il figlio di Kevser capisce il mio intento e parla con la mamma, che mi viene incontro decisa e mi dice qualcosa in turco. Dietro di lei il figlio mi spiega che, siccome hanno capito che siamo stanchi e che non vogliamo più aspettare, saremo ospiti a casa loro per cena 😅. Ci dicono che il capo famiglia ci porterà presso la loro residenza, ci lascerà li, e che tornerà a riaprire il ristorante, mentre Kevser farà gli onori di casa con i figli. Io e Mirko ci guardiamo, rimanendo a bocca aperta… Signori e Signore, vi presento l’ospitalità turca!
Veniamo portati in macchina in un quartiere residenziale, poco distante dal centro di Yozgat. Ci troviamo davanti ad una villetta a schiera. Entriamo e ci troviamo davanti 3 ragazzini, i due che abbiamo conosciuto al ristorante e una più piccolina, di 9 anni. Per entrare dobbiamo togliere le scarpe. Arriva Kevser, che in casa si è tolta il velo. La adoro, è una ragazza solare e piena di vita, anche se le avevo dato molti di più degli anni che ha. Fa una vita dura, e la sua gioia le fa onore.
I ragazzi ci chiedono di cucinare la pasta ”all’italiana”, così ci mettiamo ai fornelli. Prepariamo un bel soffritto con un po’ d’aglio e cipolla, (tanto loro sono sicuramente abituati alle spezie), tagliamo i pomodori e prepariamo la salsa. Cuciniamo la pasta al dente e la facciamo saltare nel sugo. La assaggiamo… buonissima! Tutti fieri serviamo i piatti in tavola e ci sediamo, con un sorriso da ebeti sulla faccia, aspettando di goderci le loro reazioni…. aprono la bocca, assaggiano il primo boccone e… smorfie orrende si formano sulle loro facce!!! La più piccolina guarda la mamma e le dice qualcosa in turco, con una vocina tremolante. Il ragazzo ci guarda e in inglese ci dice ”questo non è ketchup!!” 😱 Certo che no, spieghiamo noi. Mortificati, raccontiamo che la vera pasta al pomodoro in Italia si mangia così, non con il ketchup. Cercano di sorridere, ma è evidente che a loro non piace. Stemperiamo la situazione cercando di parlare in turco, facendo ridere tutti. Passiamo una serata davvero piacevole, assaggiando dolci tipici e frutta secca.
Io sono davvero stanca, si è fatto tardi. Kevser chiama il marito, che ci viene a prendere, per riportarci alla nostra guest house. Ci salutiamo con tanto affetto, sono stati eccezionali!! Grazie di cuore, questa si chiama ospitalità 🥰 (io e Kevser siamo ancora in contatto).
LA NEVE…
La mattina ci svegliamo presto. Pronti partenza via! Salutiamo i ragazzi che ci hanno aiutato per le biciclette e partiamo. Ovviamente piove e fa freddo, quindi indossiamo subito le mantelle impermeabili e ci avviamo.
Le salite iniziano subito. Quando si è in bici la pioggia e il vento contro non aiutano di certo. Le gambe bruciano per lo sforzo e, nonostante ormai la temperatura sia intorno ai 5° sento il torace bollente per il calore che si forma sotto la mantella. Mi fermo, tolgo la giacca e me la lego in vita, ma l’aria li sotto non passa comunque. Spesso vorrei pedalare in piedi, ma la mantella fa da vela e se mi alzassi la superficie aumenterebbe tanto da non farmi andare avanti, perciò abbasso la testa e spingo.
Ci fermiamo spesso, per bere un çay caldo e mangiare un boccone di cioccolato, ma dobbiamo andare avanti il più possibile. Con questa pioggia non potremo dormire nei campi, quindi dovremo cercare una situazione tipo il benzinaio di qualche giorno fa.
Dopo tanta salita a metà pomeriggio incrociamo una struttura, che sembra essere un ristorante/bar, dalla parte opposta della strada. Ci fermiamo per scaldarci un po’ e per chiedere se possiamo montare la tenda dietro lo stabile. All’interno troviamo un tepore meraviglioso, perchè al centro del salone c’è una stufa a legna in ghisa, con la forma delle nostre betoniere da cantiere, con una ventola che spinge il calore della brace verso l’esterno. Ci piazziamo davanti al getto d’aria calda e in una mezz’ora abbiamo ripreso una temperatura ”umana” e i nostri vestiti si sono asciugati completamente.
Dopo qualche litro di çay ci viene fame, ma prima di prendere da mangiare proviamo a fare la solita domanda a gesti, che ormai è diventata di rito, ”possiamo montare la nostra tenda qui dietro per dormire stanotte?”. Con un sorriso il proprietario del locale ci dice di no! 😱 Improvvisamente ci prende lo sconforto, all’idea di dover andare a cercare un posto a quell’ora, con quel buio, con quella pioggia e con quel freddo. Ma il signore ci fa dei gesti, ci chiede di seguirlo al di la di una porta, su per le scale e attraverso un lungo corridoio, che da accesso a tante stanze, piene di macerie e di infiltrazioni. C’è acqua che piove dal soffitto, dappertutto. Ma arrivati in fondo, nell’ultima stanza, di acqua non ce n’è e di macerie nemmeno. E’ solo un bel po’ sporca, ma non ci interessa. Avremo un tetto sulla testa stanotte!!!! Il proprietario sembra più contento di noi. Ci dice che possiamo dormire li gratis, perchè non è un albergo, saremo suoi ospiti. Allora gli chiediamo di poter mangiare , gli pagheremo almeno quello, ma ci dice che in teoria fa solo bar e che normalmente non fa da mangiare. Ci pensa un attimo e poi se ne va. Dopo un quarto d’ora torna con delle uova strapazzate e del formaggio… alla grande! Con tanto di servizio in camera! Grazie davvero 🙏
Sono talmente stanca che faccio fatica anche a parlare. Crollo addormentata in 30 secondi.
La mattina, dopo un bel sonno, ci svegliamo e….
OOOOOKKKEYYYYY, bella giornata che ci aspetta! Qui non possiamo certo rimanere. Dobbiamo partire per forza. Paghiamo la cena e la colazione e affrontiamo la neve! Saliamo in bici e cominciamo a pedalare spediti. Nevica appena appena e a tratti smette, quindi riusciamo ad andare avanti bene.
Il problema è che continuiamo a salire, quindi la neve aumenta e il vento pure! Ovviamente non si può pensare di avere il vento a favore, almeno ogni tanto dico io! No! Sempre contro e sempre quando abbiamo le mantelle addosso che ci fanno da vela e ci frenano!
Ad un cero punto la neve cade così fitta che faccio fatica a vedere Mirko davanti a me. Per fortuna che siamo vestiti di rosso. Il vento fa turbinare i fiocchi, grossi come chicchi d’uva, tutti intorno a noi, sembra vogliano rapirci, o spingerci via. Le macchine non passano più. Le poche che incrociamo non riescono più a muoversi, senza le catene. I pochi ad andare avanti, oltre a noi, sono i camion, che passandoci accanto ci suonano facendo il tifo per noi.
Il vento è tremendo e dopo 4 ore in bici, pedalando con rapporti cortissimi per combattere spinta e salita, abbiamo percorso solo 40km, e siamo stremati.
Come una luce nel buio ci appare un negozio dall’altro lato della strada, con bar e vendita di prodotti di vario genere. Mi accorgo che anche se la mia faccia è completamente congelata riesco ancora a sorridere 😄 Non è possibile continuare, perciò ci fermiamo. Parcheggiamo le bici sul retro, sotto ad un balconcino, che pensiamo sia perfetto per proteggere la tenda stanotte. Il peso della neve potrebbe romperla.
Entriamo nel negozio. Ho le gambe doloranti e le mani che pulsano mentre si riscaldano. Prendiamo del çay e ci sediamo senza parlare. Io mi addormento con la testa sul tavolo, non credo per molto, ma quando riapro gli occhi mi sento già meglio. Sto scoprendo di avere dei tempi di recupero velocissimi, forse per l’adattamento del corpo e della mente ad una situazione che ormai si protrae da parecchi giorni. O forse per l’alimentazione, principalmente cereali, miele, pasta all’olio, uova, formaggio e frutta secca.
Passano diverse ore. Non possiamo fare nulla. E’ ancora troppo presto. Fuori fa freddissimo e infilarci in tenda significherebbe chiuderci nei sacchi a pelo e rimanerci fino a domani mattina. Decidiamo di portarci avanti con la solita richiesta a gesti, quindi andiamo dal ragazzo che c’è alla cassa e chiediamo ”possiamo montare la nostra tenda qui dietro per dormire stanotte?” Il ragazzo si guarda in giro, un po’ preoccupato e fa ”no” con la testa. …Ops… e adesso? Proviamo a richiederlo, usando dei gesti diversi, anche se ormai erano consolidati, capivano tutti… ma magari lui aveva bisogno di un aiuto in più… facciamo anche le facce preoccupate, indichiamo la neve fuori, uniamo le mani, chiedendo per favore… niente! La risposta rimane no, ma continua a guardarsi in giro, in particolare verso una porta, in fondo al negozio, come se cercasse qualcuno. Ok, allora forse c’è qualcun altro? Forse non sei tu il proprietario, penso io…
Infatti, dopo ulteriori insistenze, proprio da quella porta esce un uomo, alto alto e serissimo, che ci guarda severo e cammina a passi lenti e lunghi verso di noi. Io e Mirko ci guardiamo, ecco… sta venendo a mandarci via. Mi faccio piccola piccola e guardo in basso. Mi sento per la prima volta in imbarazzo. Mi rendo conto che sembriamo due scappati di casa, con i vestiti sporchi, un po’ puzzolenti. Siamo rimasti li per ore a bere litri di çay offerto all’ingresso, quindi senza neanche consumare….
L’uomo si avvicina, sfodera il suo miglior sorriso, ci saluta con un bel ”salam aleikum” e ci indica di seguirlo. Ci porta nel retro e ci fa strada verso il piano di sopra. Ci ritroviamo in uno splendido salone vuoto, con tutti i tavoli accatastati in modo ordinato da una parte. Tutta la parete davanti è un’unica vetrata, da cui si vede la strada da cui siamo arrivati e il bosco innevato alle sue spalle. Al centro della sala ci sono dei tappeti, che usano per pregare e che ci chiede di lasciare com’è. Il signore, gentilissimo, ci indica il bagno e andandosene ci saluta con una mano sul cuore. Io rimango senza parole e mi vengono le lacrime agli occhi.
Ci diamo una rinfrescata alla buona, perchè il bagno è quello di un ristorante, non c’è la doccia, e poi scendiamo a mangiare qualcosa. Mi sento felice, anzi felicissima. Ho un sorriso da ebete stampato sulla faccia. Il viaggio, il territorio, le persone, mi stanno regalando delle emozioni incredibili che non mi aspettavo. Emozioni che non dimenticherò mai!
Bellissimo resoconto, spero di leggere il seguito.
Grazie mille. Certo, prestissimo